UNIDEE – Università delle Idee Cittadellarte – Ufficio Educazione
diretto da Cecilia Guida con la collaborazione di Juan Sandoval
e la supervisione di Paolo Naldini
Ci sono piatti, ma non appetito
Fedi, ma non scambievole amore
da almeno trecento anni.
C’è il ventaglio – e i rossori?
C’è la spada – dov’è l’ira?
E il liuto, non un suono all’imbrunire.
In mancanza di eternità hanno ammassato
diecimila cose vecchie.
(…)
La corona è durata più della testa.
La mano ha perso contro il guanto.
La scarpa destra ha sconfitto il piede.
Quanto a me, credete, sono viva.
La gara col vestito non si arresta.
E lui quanta tenacia mi dimostra!
Vorrebbe viver più della mia vita!
Wislawa Szimborska, Museo, 1962
PERFORMING ANTHROPOLOGY
WORKSHOP A CURA DI: GIULIA GRECHI
CON LA PARTECIPAZIONE DI: FIAMMA MONTEZEMOLO
15-19 GIUGNO 2015
Come possiamo immaginare un “museo postcoloniale” o un “archivio affettivo”? Su quali premesse possiamo immaginare queste due “strane” cose? Esplorando la relazione tra antropologia e arte contemporanea, a partire dall’esperienza del Surrealismo Etnografico negli anni ’30 e attraverso l’idea dell’“artista come etnografo” di Hal Foster, discuteremo la contemporaneità di questa relazione. Ripenseremo la relazione tra arte contemporanea e antropologia da diversi punti di vista, legati alle opere d’arte, alle performance, ai processi curatoriali nelle mostre d’arte contemporanea e/o nei musei etnografici, alle azioni dentro e fuori i musei, alle sperimentazioni sulla costruzione di archivi “alterati” (archivi affettivi o diasporici). L’idea è di mettere in discussione i presupposti alla base della nostra comprensione culturale di concetti come museo, archivio, modernità, legati a un preciso e non universale concetto del tempo, dello spazio, dell’identità. Ragioneremo su come il museo può essere trasformato da tempio dove conservare l’Archivio, la Storia, la Nazione, le Culture come categorie essenzializzate, in un luogo in cui attivare dinamiche, provando a trasformare il museo stesso in uno spazio critico, radicalmente riflessivo.
Questa riflessività critica richiede un posizionamento etico, che consiste nel continuare a pensare al museo come una forma culturale, estremamente utile per la costruzione di comunità immaginate. La sfida è di sperimentare nuove modalità di farlo, concependo queste comunità in senso transnazionale, interculturale e transdisciplinare. Tenteremo di immaginare l’idea di un museo postcoloniale, ancora lontano da venire (forse non sarà neanche un “museo”), come luogo capace di contenere la forza affettiva delle strategie di memorializzazione, di attivare i corpi dei visitatori e la loro agency, di andare oltre la coazione al mostrare, costruendo uno spazio poroso e fortemente politico, proponendo il museo come un laboratorio sperimentale per nuovi sensi della cittadinanza, per una diversa “comunità che viene”.